Quando parliamo di economia circolare ci riferiamo a un sistema economico pensato per potersi rigenerare da solo, in contrapposizione al modello lineare – quello attuale – che predilige un modello di produzione e consumo di beni e servizi non pensati per essere reinseriti nell’ecosistema, piuttosto si basa sull’accessibilità di una quantità di risorse ed energia pressoché illimitate, condizione sempre meno adatta alla realtà in cui viviamo.

Alla base dell’economia circolare vi è la negazione del rifiuto – inteso come scarto e dunque non riciclabile – al contrario, i componenti biologici e tecnici di un prodotto sono pensati per adattarsi al ciclo dei materiali ed essere dunque riutilizzati e riproposti in nuovi cicli produttivi, riducendo al massimo gli sprechi.

Dunque un’economia pensata per auto-rigenerarsi: adottare un approccio circolare significa rivedere tutte le fasi della produzione e prestare attenzione all’intera filiera coinvolta nel ciclo produttivo.

Quest’attenzione passa per il rispetto di alcuni principi alla base, che la Ellen McArthur Foundation ha individuato in 5 criteri fondamentali:

  1. eco-progettazzione – progettare i prodotti pensando fin da subito al loro impiego a fine vita, quindi con caratteristiche che ne permettano lo smontaggio o la ristrutturazione;
  2. modularità e versatilità – affinché l’uso del prodotto si possa adattare al cambiamento delle condizioni esterne;
  3. energie rinnovabili – è necessario affidarsi ad energie prodotte da fonti rinnovabili favorendo il rapido abbandono del modello energetico fondato sulle fonti fossili;
  4. approccio ecosistemico – pensare in maniera olistica, avendo cura dell’intero sistema e considerando le relazioni causa-fletto tra le diverse componenti;
  5. recupero dei materiali – favorire la sostituzione delle materie prime vergini con materie prime seconde provenienti da filiere di recupero che ne conservino le qualità.

Grande attenzione al tema è dato dalle direttive comunitarie, tanto che in aprile è stato approvato dal Parlamento Europeo il Pacchetto sulla circular economy, con il quale si apre la strada a un modello di sviluppo nuovo e nuove opportunità per l’occupazione: l’approvazione ha previsto tecnicamente la revisione di quattro direttive già in essere sulla gestione dei rifiuti, che dovranno obbligatoriamente essere adottate dai Paesi membri dell’Ue entro due anni.

In base alla nuova norma almeno il 55% dei rifiuti urbani domestici e commerciali dovrà essere riciclato. Obiettivo che nel 2030 si stima salirà al 60%.

La relatrice Simona Bonafè ha commentato tale passaggio confermando che “non si tratta solo di rifiuti, questo è un passaggio epocale e rivoluzionario verso un nuovo modello economico che creerà fino a 500mila nuovi posti di lavoro“.

Nel nostro Paese proprio in questi giorni, la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, insieme a un gruppo di 13 aziende e associazioni di impresa, ha voluto favorire la nascita del Circular Economy Network, Osservatorio della circolarità in Italia, con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo dell’economia circolare nel nostro Paese, elaborando proposte di policy, contribuendo alla diffusione di buone pratiche e all’innovazione dell’intero sistema.

Un’attività che poggia su un terreno fertile, infatti secondo i dati annunciati dal presidente, Edo Ronchi:

L’Italia è già oggi al secondo posto in Europa nell’uso di materia proveniente da scarti: quasi 1 chilo di materia prima ogni 5 chili di materiali consumati viene dai materiali riciclati. Secondo l’indice di circolarità calcolato dalla Commissione Europea, il nostro Paese è a una percentuale del 18,5% contro il 26,7% del primo Paese riciclone, l’Olanda. Siamo più avanti della Francia (17,8%) e del Belgio (16.9%), mentre la Germania, con un tasso di appena il 10.7%, si posiziona al di sotto della media europea (11.4%).

Inoltre, il nostro Paese si colloca, per storia imprenditoriale e antica carenza di materie prime, in una posizione di eccellenza in questa vera e propria rivoluzione economica e produttiva che vedrà il nascere di una riprogettazione del design industriale, di nuovi prodotti e servizi, di nuove aziende, assieme ad un ulteriore salto di qualità nel riciclo dei rifiuti.

Anche l’Osservatorio dunque conferma che questi dati non riguardano solo l’impatto sull’ambiente, ma si traducono in grandi opportunità di occupazione:  secondo le stime dell’Enea “una forte spinta verso l’economia circolare può creare fino a 540 mila posti di lavoro entro il 2030”.

Sono posti di lavoro specializzati. Economia circolare significa investire in innovazione e tecnologie e creare professionisti della nuova economia.

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