La cooperazione come chiave per rigenerare lavoro, comunità e futuro

Il 15 marzo 2025, il Palazzo della Cooperazione di Roma ha ospitato una delle tappe più significative del Festival Nazionale dell’Economia Civile: l’evento PIANO B – “L’individuo (da solo) non esiste!”.

Un momento di confronto aperto tra esperti, rappresentanti del mondo cooperativo, cittadini e stakeholder per ridisegnare il paradigma relazionale dell’Italia e dell’Europa, alla luce delle grandi trasformazioni economiche, sociali e ambientali.

Il titolo dell’evento, Piano B, richiama la necessità urgente di un’alternativa al modello dominante attuale: un’economia che rimetta al centro le relazioni, la cura dei territori, la coesione sociale e la centralità della persona. Non solo numeri e PIL, ma persone, relazioni, legami, comunità e benessere diffuso.

La giornata si è articolata in tavoli tematici su lavoro, salute e transizione ecologica, ed è culminata con l’intervento della Direttrice Generale di Confcooperative, Fabiola Di Loreto, che ha offerto un’analisi lucida e concreta delle sfide attuali del mondo del lavoro, proponendo l’innovazione della cooperazione come motore di rigenerazione.

L’intervento integrale di Fabiola Di Loreto (rivisto)

Piccolo contributo sul tema del lavoro, con una premessa:

Esiste certamente un problema legato al lavoro, ma dobbiamo porci una domanda più profonda: che tipo di lavoro vogliamo costruire per il futuro? Che tipo di imprese vogliamo?

Esiste anche un problema di società e del rapporto tra lavoro, welfare e stato sociale. Siamo di fronte alla necessità di ripensare il modello stesso di impresa e di lavoro.

Permettetemi di richiamare il valore costituzionale della cooperazione, sancito nell’articolo 45 della nostra Costituzione. I Padri Costituenti, in un Paese appena uscito dalla guerra, dilaniato e da ricostruire, scelsero consapevolmente di inserire la cooperazione in Costituzione, riconoscendo a questo modello d’impresa una funzione sociale che va oltre il mero profitto.

Oggi anche l’Europa – la Commissione e il Parlamento – ci invita a ripensare l’economia in chiave sociale, perché un modello puramente speculativo e capitalista ha generato profonde disuguaglianze.

Veniamo ai dati:

Da uno studio condotto con il Censis emerge che mancano all’appello 316.000 lavoratori. Questo vuoto comporta un costo per il Paese stimato in 28 miliardi di euro, pari all’1,5% del PIL.

Sempre secondo il Censis, esiste un problema di NEET, ma anche un aspetto positivo: un piccolo esercito di giovani che sta creando lavoro, generando occupazione a misura d’uomo, orientata a valori di sostenibilità e responsabilità sociale.

Tuttavia, il mismatch tra domanda e offerta di lavoro è il problema strutturale più segnalato dalle imprese da oltre due anni.

Nelle 16.000 imprese iscritte a Confcooperative lavorano 540.000 persone, ma ne servirebbero almeno 35.000 in più: un fabbisogno che riguarda tutte le filiere.

Manca personale nei settori:

  • socio-sanitario (educatori, infermieri)

  • logistica (facchini, trattoristi, agrotecnici)

  • energia e servizi ambientali

  • sanificazione

  • turismo e accoglienza

  • GDO (supermercati)

  • artigianato (falegnami introvabili)

Allora, che fare?

La parola d’ordine è: formazione, formazione, formazione.

Abbiamo bisogno di formazione continua per i lavoratori già in servizio e per quelli da inserire. Non è solo un tema quantitativo, ma qualitativo.

I lavoratori invecchiano, serve combattere l’obsolescenza delle competenze per affrontare le sfide delle transizioni ecologica e digitale, e guidare realmente le cooperative nei processi di innovazione e inclusione.

Un altro tema, oggi difficile da affrontare ma centrale, è quello dell’immigrazione.

Parlare di immigrazione non è buonismo.

È affrontare il tema con realismo economico: senza nuovi lavoratori, non saremo più in grado di sostenere il nostro welfare.

Nel 2032, il numero di lavoratori si equiparerà a quello dei pensionati.
Nel 2040, il 60% della popolazione sarà anziana, con una prevalenza di donne (fino al 70%) che avranno bisogno di cura e assistenza.

Come lo finanzieremo? Con chi?

Se non vogliamo affrontare il tema dell’immigrazione sul piano dell’integrazione (che comunque ci sta a cuore come mondo cooperativo), almeno guardiamolo come un’opportunità per il Paese.

Terzo punto: la partecipazione dei lavoratori.

Le cooperative che innovano, che fanno investimenti nella transizione ecologica e tecnologica, che generano valore aggiunto, sono anche quelle che coinvolgono attivamente i lavoratori.

Sono modelli di impresa inclusivi, con governance democratiche, capaci di dare risposta ai bisogni delle comunità.

Ultimo aspetto: il salario giusto.

Il salario giusto non è solo il salario minimo per legge. È il risultato della contrattazione, che valorizza la persona, la professionalità e il contributo al bene comune.

Ma attenzione: imporre un salario minimo per legge può significare la progressiva erosione del ruolo dei corpi intermedi, mettendo a rischio uno dei pilastri della nostra democrazia.

Dobbiamo invece costruire un salario equo e inclusivo, che tenga conto anche di altri fattori: formazione, welfare, partecipazione.

Questo è il “Piano B” della cooperazione: un’economia che rigenera legami, territori, comunità. E che mette, davvero, le persone al centro.

Vuoi rivedere l’intervento?

E’ a 2:54:42 del video integrale dell’evento “L’individuo (da solo) non esiste!” sul canale ufficiale del Festival dell’Economia Civile Clicca qui per vederlo su Youtube

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