Un appello a tutela del lavoro delle cooperative sociali impegnate nella lotta alla violenza di genere.
Settembre 2025 segnerà la fine di un periodo transitorio iniziato nel 2022: la proroga concessa per l’adeguamento ai requisiti minimi dei Centri Antiviolenza e delle Case Rifugio, come stabiliti dall’Intesa Stato-Regioni del 14 settembre 2022 (Rep. Atti n. 146/CU), sta per scadere. Si tratta di una norma importante, pensata per rafforzare la rete nazionale contro la violenza di genere, tuutavia emergono criticità nella valutazione e la cooperazione sociale si chiede quanto sia davvero calibrata sulla realtà dei territori.
Tra le modifiche più discusse spicca l’obbligo, per gli enti gestori, di avere esclusivamente o prevalentemente come oggetto sociale l’attività di contrasto alla violenza. Un vincolo che, a ben vedere, mette in discussione il lavoro quotidiano di molte cooperative multiservizi, realtà che, pur non nate per un unico scopo, da anni costruiscono risposte efficaci, professionali e riconosciute.
Le linee della suddetta Intesa potrebbero portare a una necessaria riorganizzazione di cooperative multiservizi con statuto ad oggetto plurimo e delle loro risorse dedicate al contrasto alla violenza di genere, con conseguenze economiche e possibili chiusure di case e di centri antiviolenza gestiti dalle stesse e lasciando un vuoto di competenze e know-how, di difficile copertura.
Il PLUS di Sassari ha affidato la gestione del proprio servizio antiviolenza alla cooperativa sociale Porta Aperta, che offre una vasta gamma di servizi accreditati e che ha fatto della competenza, della rete e dell’impegno costante la propria cifra distintiva.
Progetto Aurora è molto più di un centro. È un sistema articolato, formato da:
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un Centro Antiviolenza (CAV) attivo tutti i giorni, mattina e pomeriggio, in Via dei Mille 61, a Sassari;
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una Casa Rifugio che offre protezione e supporto a donne e minori in fuga dalla violenza;
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un servizio di informazione e sensibilizzazione, in collaborazione con il Comune;
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un servizio di formazione, grazie all’accreditamento della Regione Sardegna;
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e, fino al 2020, uno sportello per uomini autori di violenza, segno di un approccio che punta anche alla prevenzione.
Dal 2023, grazie al progetto “Free.Da – Liberə dalla violenza”, finanziato da Fondazione con il Sud, il servizio ha rafforzato la propria équipe multidisciplinare ed esteso gli orari di apertura, ampliando la capacità di ascolto e intervento. La cooperativa Porta Aperta opera da anni nel campo del sociale con professionalità riconosciuta, costruendo nel tempo una rete solida di relazioni istituzionali, competenze e percorsi di supporto per le donne e le famiglie coinvolte in situazioni di violenza.
Ed è proprio da esperienze come questa che nasce la domanda più urgente: davvero possiamo permetterci di escludere realtà così operative e qualificate per una questione puramente statutaria?
L’obbligo di esclusività dell’oggetto sociale, previsto all’art. 1, comma 7, lettera c) dell’Intesa, rischia di tagliare fuori cooperative sociali multiservizi che oggi rappresentano un pilastro della rete di protezione. Realtà che non solo rispondono ai requisiti minimi previsti dall’Intesa (sedi idonee, personale femminile formato, continuità operativa), ma lo fanno con passione, competenza e radicamento territoriale.
Non è un caso se si è resa necessaria una proroga di ben 36 mesi – il doppio del previsto – per consentire agli enti di adeguarsi: alcuni requisiti, così come sono formulati, non tengono conto della complessità del sistema italiano di welfare locale.
La Commissione Donne di Confcooperative ha più volte sottolineato come la qualità dei servizi non derivi tanto dalla formalità dell’oggetto sociale, quanto dalla concreta capacità di rispondere ai bisogni delle donne. Chiede quindi una modifica dell’Intesa, che espunga il vincolo dell’esclusività o prevalenza dell’attività, per aprire a una valutazione più aderente alla realtà: quella basata sulla qualità, sulla coerenza e sull’efficacia dell’intervento.
In gioco non ci sono solo bilanci o norme. Ci sono vite che ricominciano, bambini e bambine che tornano a sentirsi al sicuro, comunità che imparano a reagire alla violenza con coraggio e consapevolezza.
Il contrasto alla violenza di genere richiede un sistema integrato, una pluralità di attori, un dialogo costante tra enti pubblici, terzo settore e cittadinanza. Escludere realtà operative e competenti per vincoli formali significherebbe indebolire una rete già messa alla prova da anni di sottofinanziamenti e crescente domanda sociale.
Modificare la norma è possibile, è auspicabile, ed è un atto di responsabilità verso tutte quelle professioniste e quei territori che non hanno mai smesso di esserci, anche nei momenti più difficili.
E allora, anziché chiedersi cosa dice lo statuto, Commissione Donne di Confcooperative, e Federsolidarietà si chiedono chi c’è davvero quando una donna bussa a una porta in cerca di aiuto e offrono il supporto di rappresentanza di queste realtà che sostengono la struttura sociale dei nostri territori.