E’ stato presentato lo scorso 25 gennaio a Roma il rapporto “Struttura e performance delle cooperative italiane” elaborato da Istat e Euricse, nato nell’ambito di una convenzione di ricerca tra l’Istituto nazionale di statistica e l’European Research Institute on Cooperative and Social Enterprises (Euricse).
Il documento fornisce spunti informativi e analisi basati su una rappresentazione statistica unitaria della struttura, dei risultati economici e dei profili delle unità economiche del settore cooperativo – che include i gruppi d’impresa controllati da cooperative – all’interno del sistema produttivo italiano.
«Dal 2007 al 2015, negli anni della crisi, le cooperative italiane sono cresciute sia numericamente sia negli addetti, a differenza di quanto è avvenuto negli altri comparti nei quali i dati sono stati tutti negativi» spiega Massimo Lori, della Direzione centrale per le statistiche economiche dell’Istat, al quale segue Carlo Borzaga, presidente dell’Euricse: «Nella cooperazione il lavoro è il valore più fisso mentre il profitto è il dato più variabile e questo spiega perché in questo settore abbiamo avuto in questi anni un andamento anticiclico».
Nel rapporto si legge che nel 2015 sui 4,4 milioni di imprese italiane 59.027 erano cooperative (pari all’1,3% delle imprese private operanti sul territorio nazionale) per un totale di 1 milione 151.349 di addetti ed un valore aggiunto pari a 28,8 miliardi.
Negli anni della crisi le cooperative italiane hanno osservato un trend crescente: se erano nel 2007 50.691, nel 2011 sono diventate 56.946 (+12,3 punti percentuali rispetto al 2007) fino a toccare quota 59.027 nel 2015 (+3,7% rispetto al 2011, +16,4% rispetto al 2007). Questa crescita oltre ad essere anticilica è ancora più significativa se si tiene conto che, nello stesso periodo, il numero delle altre imprese in Italia ha avuto un andamento negativo: -3,2%.
Chiara Carini dell’Euricse ha fatto notare che, suddivise per tipologia, le cooperative italiane sono 49,8% di lavoratori e al 24,2% si tratta di cooperative sociali. Ma alcuni dati delle cooperative sociali raggiungono dimensioni maggiori (rispetto al rapporto numerico): rappresentano infatti il 28% del valore aggiunto e il 33% del totale dei lavoratori impiegati nelle cooperative, valori per i quali la cooperazione sociale si pone al di sopra della media dell’intero settore.
Come distribuzione territoriale, la maggioranza delle cooperative è ubicata nel Mezzogiorno (40%) dove però si tratta di imprese di piccole dimensioni: infatti valore aggiunto e numero di addetti si concentrano al 60% nel Nord.
Nel 2015, oltre il 50% delle cooperative è concentrato in sole cinque regioni: Lazio e Lombardia, con una quota intorno al 14%, seguite da Sicilia (10,5%), Campania (10,1%) e Puglia (9,3%). Questa concentrazione è legata alla densità demografica o imprenditoriale ma anche a vocazioni territoriali specifiche. In Sicilia, Puglia e Lazio ci sono oltre 19 cooperative ogni 1.000 imprese, rapporto che sale addirittura a 27 in Basilicata mentre si attesta sotto il 10 in Veneto, Piemonte, Liguria, Friuli-Venezia Giulia.
La distribuzione del valore aggiunto secondo la regione delinea una maggiore capacità di produrre ricchezza delle cooperative residenti al Nord, che rappresentano il 36,2% del totale ma producono il 64,1% del valore aggiunto complessivo. In particolare, le cooperative dell’Emilia Romagna, pur essendo il 7,1% del totale, contribuiscono per il 22,6% al valore aggiunto, con una media di 1,5 milioni di euro per cooperativa; anche quelle della Provincia autonoma di Trento realizzano un valore aggiunto medio per cooperativa di poco superiore al milione di euro. All’opposto in Calabria, Sicilia, Puglia, Campania, Basilicata e Molise sono localizzate oltre un terzo delle cooperative (34,9%) ma il loro peso in termini di valore aggiunto è dell’11,6%, in media meno di 200 mila euro per cooperativa.
Per cogliere l’importanza della cooperazione all’interno delle economie regionali si può considerare il rapporto tra valore aggiunto delle cooperative e quello delle altre imprese. Ebbene, l’Emilia Romagna si colloca al primo posto della graduatoria con una quota pari al 10,4%, seguita da Umbria (9,4%), Provincia autonoma di Trento (7,6%) e Sardegna (7,3%).
Inoltre, l’incremento registrato per i dipendenti delle cooperative è stato del 17,7%, superiore anche all’aumento delle cooperative, contro una flessione dell’occupazione pari al 6,3% registrato nelle altre imprese.
Massimo Lori ha rilevato che nelle cooperative lavori una maggioranza di donne: il dato tocca il 52,2% contro il 36% nelle altre imprese. Il ricercatore ha spiegato che «questo è dovuto alla maggiore incidenza nella cooperazione dei settori istruzione, sanità e assistenza sociale dove è prevalente la presenza femminile. Ma ciò non corrisponde ad una maggiore presenza delle donne nelle posizioni apicali».
Un primo esame dei dati medi relativi ai comportamenti digitali e innovativi delle cooperative e delle altre imprese evidenzia, in generale, una minore propensione digitale e innovativa delle prime rispetto alle seconde. Anche i dati originari sulle diverse tipologie di innovazione evidenziano, complessivamente, una minore propensione all’introduzione di innovazioni di prodotto e di processo da parte delle cooperative, con un gap che tuttavia si dimezza per le innovazioni organizzative e tende a chiudersi per quelle di marketing.